Con la sentenza in commento il Tribunale di Roma, al fine di chiarire ulteriormente la consistenza dell’onere della prova delle parti nei giudizi aventi ad oggetto la responsabilità medico-sanitaria, ha fissato il principio secondo cui è “onere del presunto danneggiato (di) indicare non genericamente quale sia l’inadempimento qualificato che si addebita al medico e/o alla struttura nosocomiale”.

Molto interessante segnalare l’iter argomentativo attraverso il quale il Giudice giunge ad affermare tale principio e, più in particolare, la completezza e l’esaustività utilizzata nel descrivere il quadro normativo e giurisprudenziale che caratterizza la materia della responsabilità medica con stretto riferimento al delicato profilo dell’onere della prova.

Sul punto, il Tribunale osserva come la tormentata evoluzione della disciplina, ben lungi dall’essere compiuta, si collochi “in un contesto sociale in fase di trasformazione, nel quale l’opinione pubblica si è andata sempre più sensibilizzando alle problematiche afferenti alla tutela della salute, anche sulla scia di eventi e casi gravi ed eclatanti, portati alla ribalta dai media, nei quali disfunzioni, ritardi ed errori delle strutture e degli operatori sanitari hanno contribuito ad alimentare un clima di crescente sospetto sul funzionamento e sulla affidabilità del sistema sanitario del Paese”.

Sulla base di tale valutazione, esprime senza reticenza alcuna la sua critica nei confronti dell’assenza dei Governi e dei Legislatori la cui opera, ove resa, ha avuto il demerito di provocare l’esponenziale crescita della c.d. medicina difensiva nonché l’intasamento delle aule di giustizia per il proliferare di cause giudiziarie infondate o di natura meramente esplorativa.

Su queste premesse, mettendo in luce che l’esigenza di tutelare il paziente deve essere adeguatamente contemperata con quella di non aggravare eccessivamente il compimento dell’atto medico e delle prestazioni sanitarie, considerata la loro rilevanza sociale, afferma, nel pieno rispetto della normativa in vigore (art. 2697 c.c.) e in omaggio all’orientamento giurisprudenziale emerso dalle Sezioni Unite Civili, con sentenza dell’11 gennaio 2008 n. 577, il principio secondo cui il creditore/paziente che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni non può dedurre un inadempimento generico, ma deve allegare un inadempimento qualificato, nel senso di “astrattamente efficiente alla produzione del danno”. In altri termini, deve indicare “specificamente la mancata guarigione o l’aggravamento della patologia di ingresso ed i profili di inadempimento del medico e/o della struttura nosocomiale”. Compete, al contrario, al debitore/medico – struttura sanitaria dimostrare che “l’inadempimento non c’è stato, ovvero che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie eziologicamente rilevante nella produzione del danno”.

Per quanto concerne il nesso causale, ripercorrendo il solco tracciato dalla citata sentenza delle Sezioni Unite, ha ribadito che esso si considera sussistente laddove “in mancanza della condotta sanitaria censurabile (ovvero in presenza di una condotta più appropriata ed omessa) i risultati sarebbero stati diversi e migliori (per il paziente) secondo il principio del più probabile che non”.

In applicazione dei richiamati principi, il Tribunale, preso atto della non specificità della allegazione dell’attore, che lamentava inefficienza, inadeguatezza e grave ritardo nella somministrazione delle cure da parte dei sanitari, ha ritenuto non soddisfatto il suo onere di indicare in modo specifico l’inadempimento qualificato e, per l’effetto, ne ha rigettato la domanda.