Nel caso di morte immediata o che segua entro brevissimo lasso di tempo alle lesioni, non può essere invocato un diritto al risarcimento del danno iure hereditatis.

Questo è l’ultimo arresto delle Sezioni Unite in tema di danno c.d. tanatologico, una tipologia di danno con cui si intende far riferimento a quel particolare pregiudizio che incide direttamente sul bene “vita” e si verifica nei casi di morte immediata o a breve distanza dal momento della lesione.

La pronuncia trae origine da una ordinanza di rimessione della terza sezione, con la quale è stato segnalato sul tema in esame un contrasto interpretativo tra la sentenza n. 1361 del 2014 e il precedente e risalente orientamento giurisprudenziale.

Secondo un consolidato orientamento – minuziosamente ripercorso dalle Sezioni Unite attraverso puntuali richiami alle singole pronunce e dichiaratamente da esse condiviso – nel caso appena descritto non si potrebbe invocare un diritto al risarcimento dei danno iure hereditatis in ragione del fatto che “se è alla lesione che si rapportano i danni, questi entrano e possono logicamente entrare nel patrimonio del lesionato solo in quanto e fin quando il medesimo sia in vita. Questo spentosi, cessa anche la capacità di acquistare, che presuppone appunto e necessariamente l’esistenza di un subbietto di diritto” (Cass. sez. un. 22 dicembre 1925, n. 3475). Tale orientamento, osserva la Corte, ha trovato autorevole conferma nella sentenza della Corte costituzionale n. 372 del 1994 e anche nella più recente sentenza delle sezioni unite n. 26972 del 2008 al punto da poter definirlo “costante” nella giurisprudenza di legittimità.

Con la pronuncia in commento, le Sezioni Unite danno, dunque, continuità a questa ricostruzione esegetica – peraltro dichiarata conforme agli orientamenti della giurisprudenza Europea con la sola eccezione di quella portoghese – non ritenendo essere state dedotte ragioni convincenti tali da giustificarne un superamento.

In proposito, il Supremo Collegio osserva come, diversamente dalla responsabilità penale, ancorata ad una logica sanzionatoria e retributiva del colpevole, in ambito civilistico prevale un’esigenza reintegratoria e riparatoria, funzionale al ristoro del pregiudizio patito della vittima dell’illecito.

In ragione di ciò, poiché “una perdita, per rappresentare un danno risarcibile, è necessario che sia rapportata a un soggetto che sia legittimato a far valere il credito risarcitorio, nel caso di morte verificatasi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, l’irrisarcibilità deriva dalla assenza di un soggetto al quale, nel momento in cui si verifica, sia collegabile la perdita stessa e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito, ovvero dalla mancanza di utilità di uno spazio di vita brevissimo”.

A completamento dell’argomentazione la Corte precisa che secondo la giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 132 del 1985, n. 369 del 1996, n. 148 del 1999) il principio dell’integrale risarcibilità di tutti i danni non ha copertura costituzionale ed è quindi compatibile con l’esclusione del credito risarcitorio conseguente alla stessa struttura della responsabilità civile dalla quale deriva che il danno risarcibile non può che consistere che in una perdita che richiede l’esistenza di un titolare, ossia di un soggetto che tale perdita subisce.